Solennità di Pentecoste

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Oggi celebriamo la grande festa della Pentecoste, che porta a compimento il Tempo Pasquale, cinquanta giorni dopo la Risurrezione di Cristo. La liturgia ci invita ad aprire la nostra mente e il nostro cuore al dono dello Spirito Santo, che Gesù promise a più riprese ai suoi discepoli, il primo e principale dono che Egli ci ha ottenuto con la sua Risurrezione. Questo dono, Gesù stesso lo ha implorato dal Padre, come attesta il Vangelo di oggi, che è ambientato nell’Ultima Cena. Gesù dice ai suoi discepoli: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paraclito perché rimanga con voi per sempre».
Queste parole ci ricordano anzitutto che l’amore per una persona, e anche per il Signore, si dimostra non con le parole, ma con i fatti; e anche “osservare i comandamenti” va inteso in senso esistenziale, in modo che tutta la vita ne sia coinvolta.
Infatti, essere cristiani non significa principalmente appartenere a una certa cultura o aderire a una certa dottrina, ma piuttosto legare la propria vita, in ogni suo aspetto, alla persona di Gesù e, attraverso di Lui, al Padre. Per questo scopo Gesù promette l’effusione dello Spirito Santo ai suoi discepoli. Proprio grazie allo Spirito Santo, Amore che unisce il Padre e il Figlio e da loro procede, tutti possiamo vivere la stessa vita di Gesù. Lo Spirito, infatti, ci insegna ogni cosa, ossia l’unica cosa indispensabile: amare come ama Dio.
Nel promettere lo Spirito Santo, Gesù lo definisce «un altro Paraclito» (v. 16), che significa Consolatore, Avvocato, Intercessore, cioè Colui che ci assiste, ci difende, sta al nostro fianco nel cammino della vita e nella lotta per il bene e contro il male. Gesù dice «un altro Paraclito» perché il primo è Lui, Lui stesso, che si è fatto carne proprio per assumere su di sé la nostra condizione umana e liberarla dalla schiavitù del peccato.

Papa Francesco.

Domenica dell’Ascensione

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Il Vangelo di Luca ci mostra la reazione dei discepoli davanti al Signore che «si staccò da loro e veniva portato su, in cielo».
Non ci furono in essi dolore e smarrimento, ma «si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia». È il ritorno di chi non teme più la città che aveva rifiutato il Maestro, che aveva visto il tradimento di Giuda e il rinnegamento di Pietro, aveva visto la dispersione dei discepoli e la violenza di un potere che si sentiva minacciato.
Da quel giorno per gli Apostoli e per ogni discepolo di Cristo è stato possibile abitare a Gerusalemme e in tutte le città del mondo, anche in quelle più travagliata dall’ingiustizia e dalla violenza, perché sopra ogni città c’è lo stesso cielo ed ogni
abitante può alzare lo sguardo con speranza. Gesù, Dio, è uomo vero, con il suo corpo di uomo è in cielo! E questa è la nostra speranza, è l’ancora nostra, e noi siamo saldi in questa speranza se guardiamo il cielo.
In questo cielo abita quel Dio che si è rivelato così vicino da prendere il volto di un uomo, Gesù di Nazaret. Egli rimane per sempre il Dio-con-noi – ricordiamo questo: Emmanuel, Dio con noi – e non ci lascia soli! Possiamo guardare in alto per riconoscere davanti a noi il nostro futuro.

Nell’Ascensione di Gesù, il Crocifisso Risorto, c’è la promessa della nostra partecipazione alla pienezza di vita presso Dio.
Prima di separarsi dai suoi amici, Gesù, riferendosi all’evento della sua morte e risurrezione, aveva detto loro: «Di questo voi siete testimoni». Cioè i discepoli, gli apostoli sono testimoni della morte e della risurrezione di Cristo, in quel giorno, anche della Ascensione di Cristo. E in effetti, dopo aver visto il loro Signore salire al cielo, i discepoli ritornarono in città come testimoni che con gioia annunciano a tutti la vita nuova che viene dal Crocifisso Risorto, nel cui nome «saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati». Questa è la testimonianza – fatta non solo con le parole ma anche con la vita quotidiana – la testimonianza che ogni domenica dovrebbe uscire dalle nostre chiese per entrare durante la settimana nelle case, negli uffici, a scuola, nei luoghi di ritrovo e di divertimento, negli ospedali, nelle carceri, nelle case per gli anziani, nei luoghi affollati degli immigrati, nelle periferie della città… Questa testimonianza noi dobbiamo portare ogni settimana: Cristo è con noi; Gesù è salito al cielo, è con noi;

Cristo è vivo!
Papa Francesco.

VI Domenica di Pasqua

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Il Vangelo di questa VI domenica di Pasqua ci presenta un brano del discorso che Gesù ha rivolto agli Apostoli nell’Ultima Cena. Egli parla dell’opera dello Spirito Santo e fa una promessa: «Il Paraclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto». Mentre si avvicina il momento della croce, Gesù rassicura gli Apostoli che non rimarranno soli: con loro ci sarà sempre lo Spirito Santo, il Paraclito, che li sosterrà nella missione di portare il Vangelo in tutto il mondo. Nella lingua originale greca, il termine “Paraclito” sta a significare colui che si pone accanto, per sostenere e consolare. Gesù ritorna al Padre, ma continua ad istruire e animare i suoi discepoli mediante l’azione dello Spirito Santo.
In che cosa consiste la missione dello Spirito Santo che Gesù promette in dono? Lo dice Lui stesso: «Egli vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto». Nel corso della sua vita terrena, Gesù ha già trasmesso tutto quanto voleva affidare agli Apostoli: ha portato a compimento la Rivelazione divina, cioè tutto ciò che il Padre voleva dire all’umanità con l’incarnazione del Figlio. Il compito dello Spirito Santo è quello di far ricordare, cioè far comprendere in pienezza e indurre ad attuare concretamente gli insegnamenti di Gesù.

E proprio questa è anche la missione della Chiesa, che la realizza attraverso un preciso stile di vita, caratterizzato da alcune esigenze: la fede nel Signore e l’osservanza della sua Parola; la docilità all’azione dello Spirito, che rende continuamente vivo e presente il Signore Risorto; l’accoglienza della sua pace e la testimonianza resa ad essa con un atteggiamento di apertura e di incontro con l’altro.
Per realizzare tutto ciò la Chiesa non può rimanere statica, ma, con la partecipazione attiva di ciascun battezzato, è chiamata ad agire come una comunità in cammino, animata e sorretta dalla luce e dalla forza dello Spirito Santo che fa nuove tutte le cose.

Papa Francesco.

V Domenica di Pasqua

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Il Vangelo di oggi ci conduce nel Cenacolo per farci ascoltare alcune delle parole che Gesù rivolse ai discepoli nel “discorso di addio” prima della sua passione. Dopo aver lavato i piedi ai Dodici, Egli dice loro: «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13,34). Ma in che senso Gesù chiama “nuovo” questo comandamento?
L’antico comandamento dell’amore è diventato nuovo perché è stato completato con questa aggiunta: «come io ho amato voi», «amatevi voi come io vi ho amato». La novità sta tutta nell’amore di Gesù Cristo, quello con cui Lui ha dato la vita per noi. Si tratta dell’amore di Dio, universale, senza condizioni e senza limiti, che trova l’apice sulla croce. In quel momento di estremo abbassamento, in quel momento di abbandono al Padre, il Figlio di Dio ha mostrato e donato al mondo la pienezza dell’amore. Ripensando alla passione e all’agonia di Cristo, i discepoli compresero il significato di quelle sue parole: «Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri».
Gesù ci ha amati per primo, ci ha amati nonostante le nostre fragilità, i nostri limiti e le nostre debolezze umane. È stato Lui a far sì che diventassimo degni del suo amore che non conosce limiti e non finisce mai. Dandoci il comandamento nuovo, Egli ci chiede di amarci tra noi non solo e non tanto con il nostro amore, ma con il suo, che lo Spirito Santo infonde nei nostri cuori se lo invochiamo con fede. In questo modo – e solo così – noi possiamo amarci tra di noi non solo come amiamo noi stessi, ma come Lui ci ha amati, cioè immensamente di più. Dio infatti ci ama molto di più di quanto noi amiamo noi stessi. E così possiamo diffondere dappertutto il seme dell’amore che rinnova i rapporti tra le persone e apre orizzonti di speranza. Gesù sempre apre orizzonti di speranza, il suo amore apre orizzonti di speranza.
Questo amore ci fa diventare uomini nuovi, fratelli e sorelle nel Signore, e fa di noi il nuovo Popolo di Dio, cioè la Chiesa, nella quale tutti sono chiamati ad amare Cristo e in Lui ad amarsi a vicenda.

Papa Francesco.

IV Domenica di Pasqua

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Nel Vangelo di oggi Gesù si presenta come il vero Pastore del popolo di Dio. Egli parla del rapporto che lo lega alle pecore del gregge, cioè ai suoi discepoli, e insiste sul fatto che è un rapporto di conoscenza reciproca. «Le mie pecore – dice – ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute». Leggendo attentamente questa frase, vediamo che l’opera di Gesù si esplica in alcune azioni: Gesù parla, Gesù conosce, Gesù dà la vita eterna, Gesù custodisce.
Il Buon Pastore – Gesù – è attento a ciascuno di noi, ci cerca e ci ama, rivolgendoci la sua parola, conoscendo in profondità i nostri cuori, i nostri desideri e le nostre speranze, come anche i nostri fallimenti e le nostre delusioni. Ci accoglie e ci ama così come siamo, con i nostri pregi e i nostri difetti. Per ciascuno di noi Egli “dà la vita eterna”: ci offre cioè la possibilità di vivere una vita piena, senza fine. Inoltre, ci custodisce e ci guida con amore, aiutandoci ad attraversare i sentieri impervi e le strade talvolta rischiose che si presentano nel cammino della vita.
Ai verbi e ai gesti che descrivono il modo in cui Gesù, il Buon Pastore, si relaziona con noi, fanno riscontro i verbi che riguardano le pecore, cioè noi: «ascoltano la mia voce», «mi seguono». Sono azioni che mostrano in che modo noi dobbiamo corrispondere agli atteggiamenti teneri e premurosi del Signore. Ascoltare e riconoscere la sua voce, infatti, implica intimità con Lui, che si consolida nella preghiera, nell’incontro cuore a cuore con il divino Maestro e Pastore delle nostre anime.
Questa intimità con Gesù, questo essere aperto, parlare con Gesù, rafforza in noi il desiderio di seguirlo, uscendo dal labirinto dei percorsi sbagliati, abbandonando i comportamenti egoistici, per incamminarci sulle strade nuove della fraternità e del dono di noi stessi, ad imitazione di Lui.

Papa Francesco.

III Domenica di Pasqua

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Vorrei soffermarmi brevemente sulla pagina degli Atti degli Apostoli che si legge nella Liturgia di questa Terza Domenica di Pasqua. Questo testo riferisce che la prima predicazione degli Apostoli a Gerusalemme riempì la città della notizia che Gesù era veramente risorto, secondo le Scritture, ed era il Messia annunciato dai Profeti.
Io mi domando: dove trovavano i primi discepoli la forza per questa loro testimonianza? Non solo: da dove venivano loro la gioia e il coraggio dell’annuncio, malgrado gli ostacoli e le violenze? Non dimentichiamo che gli Apostoli erano persone semplici, non erano scribi, dottori della legge, né appartenenti alla classe sacerdotale. Come hanno potuto, con i loro limiti e avversati dalle autorità, riempire Gerusalemme con il loro insegnamento? È chiaro che solo la presenza con loro del Signore Risorto e l’azione dello Spirito Santo possono spiegare questo fatto. Il Signore che era con loro e lo Spirito che li spingeva alla predicazione spiega questo fatto straordinario. La loro fede si basava su un’esperienza così forte e personale di Cristo morto e risorto, che non avevano paura di nulla e di nessuno, e addirittura vedevano le persecuzioni come un motivo di onore, che permetteva loro di seguire le orme di Gesù e di assomigliare a Lui, testimoniando con la vita. Questa storia della prima comunità cristiana ci dice una cosa molto importante, che vale per la Chiesa di tutti i tempi, anche per noi: quando una persona conosce veramente Gesù Cristo e crede in Lui, sperimenta la sua presenza nella vita e la forza della sua Risurrezione, e non può fare a meno di comunicare questa esperienza. E se questa persona incontra incomprensioni o avversità, si comporta come Gesù nella sua Passione: risponde con l’amore e con la forza della verità.

Papa Francesco.

II Domenica di Pasqua della Divina Misericordia

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Il Vangelo di oggi narra che il giorno di Pasqua Gesù appare ai suoi discepoli nel Cenacolo, alla sera, portando tre doni: la pace, la gioia, la missione apostolica. Le prime parole che Egli dice sono: «Pace a voi». Il Risorto reca l’autentica pace, perché mediante il suo sacrificio sulla croce ha realizzato la riconciliazione tra Dio e l’umanità e ha vinto il peccato e la morte. Questa è la pace. I suoi discepoli per primi avevano bisogno di questa pace, perché, dopo la cattura e la condanna a morte del Maestro, erano piombati nello smarrimento e nella paura. Il secondo dono che Gesù risorto porta ai discepoli è la gioia. L’evangelista riferisce che «i discepoli gioirono al vedere il Signore». E c’è anche un versetto, nella versione di Luca, che dice che non potevano credere per la gioia. Anche a noi, quando magari è successo qualcosa di incredibile, di bello, viene da dire: “Non ci posso credere, questo non è vero!”. Così erano i discepoli, non potevano credere per la gioia.
Questa è la gioia che ci porta Gesù. Se tu sei triste, se tu non sei in pace, guarda Gesù crocifisso, guarda Gesù risorto, guarda le sue piaghe e prendi quella gioia. E poi, oltre alla pace e alla gioia, Gesù porta in dono ai discepoli anche la missione. Dice loro: «Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi».

La risurrezione di Gesù è l’inizio di un dinamismo nuovo di amore, capace di trasformare il mondo con la presenza dello Spirito Santo.
In questa seconda domenica di Pasqua, siamo invitati ad accostarci con fede a Cristo, aprendo il nostro cuore alla pace, alla gioia e alla missione.

Papa Francesco.

Pasqua di Risurrezione

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Le donne portano gli aromi alla tomba, ma temono che il tragitto sia inutile, perché una grossa pietra sbarra l’ingresso del sepolcro. Il cammino di quelle donne è anche il nostro cammino; assomiglia al cammino della salvezza, che abbiamo ripercorso stasera. In esso sembra che tutto vada a infrangersi contro una pietra: la bellezza della creazione contro il dramma del peccato; la liberazione dalla schiavitù contro l’infedeltà all’Alleanza; le promesse dei profeti contro la triste indifferenza del popolo. Così pure nella storia della Chiesa e nella storia di ciascuno di noi: sembra che i passi compiuti non giungano mai alla meta. Può così insinuarsi l’idea che la frustrazione della speranza sia la legge oscura della vita. Oggi, però, scopriamo che il nostro cammino non è vano, che non sbatte davanti a una pietra tombale. Una frase scuote le donne e cambia la storia: «Perché cercate tra i morti colui che è vivo?»; perché pensate che sia tutto inutile, che nessuno possa rimuovere le vostre pietre? Perché cedete alla rassegnazione o al fallimento? Pasqua, fratelli e sorelle, è la festa della rimozione delle pietre. Dio rimuove le pietre più dure, contro cui vanno a schiantarsi speranze e aspettative: la morte, il peccato, la paura, la mondanità. La storia umana non finisce davanti a una pietra sepolcrale, perché scopre oggi la «pietra viva»: Gesù risorto. Noi come Chiesa siamo fondati su di Lui e, anche quando ci perdiamo d’animo, quando siamo tentati di giudicare tutto sulla base dei nostri insuccessi, Egli viene a fare nuove le cose, a ribaltare le nostre delusioni. Ciascuno stasera è chiamato a ritrovare nel Vivente colui che rimuove dal cuore le pietre più pesanti.
Chiediamoci anzitutto: qual è la mia pietra da rimuovere, come si chiama questa pietra?

Papa Francesco.

Domenica delle Palme

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«Benedetto colui che viene nel nome del Signore» (cfr Lc 19,38), gridava festante la folla di Gerusalemme accogliendo Gesù. Abbiamo fatto nostro quell’entusiasmo: agitando le palme e i rami di ulivo abbiamo espresso la lode e la gioia, il desiderio di ricevere Gesù che viene a noi. Sì, come è entrato a Gerusalemme, Egli desidera entrare nelle nostre città e nelle nostre vite. Come fece nel Vangelo, cavalcando un asino, viene a noi umilmente, ma viene «nel nome del Signore»: con la potenza del suo amore divino perdona i nostri peccati e ci riconcilia col Padre e con noi stessi.
Gesù è contento della manifestazione popolare di affetto della gente, e quando i farisei lo invitano a far tacere i bambini e gli altri che lo acclamano risponde: «Se questi taceranno, grideranno le pietre». Niente poté fermare l’entusiasmo per l’ingresso di Gesù; niente ci impedisca di trovare in Lui la fonte della nostra gioia, la gioia vera, che rimane e dà la pace; perché solo Gesù ci salva dai lacci del peccato, della morte, della paura e della tristezza.
Può sembrarci tanto distante il modo di agire di Dio, che si è annientato per noi, mentre a noi pare difficile persino dimenticarci un poco di noi.
Egli viene a salvarci; siamo chiamati scegliere la sua via: la via del servizio, del dono, della dimenticanza di sé. Possiamo incamminarci su questa via soffermandoci in questi giorni a guardare il Crocifisso, è la “cattedra di Dio”. Vi invito in questa settimana a guardare spesso questa “cattedra di Dio”, per imparare l’amore umile, che salva e dà la vita, per rinunciare all’egoismo, alla ricerca del potere e della fama. Con la sua umiliazione, Gesù ci invita a camminare sulla sua strada. Rivolgiamo lo sguardo a Lui, chiediamo la grazia di capire almeno qualcosa di questo
mistero del suo annientamento per noi; e così, in silenzio, contempliamo il mistero di questa Settimana.

Papa Francesco.

Quinta domenica di Quaresima

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In questa quinta domenica di Quaresima, la liturgia ci presenta l’episodio della donna adultera (cfr Gv 8,1-11). Vediamo dunque l’avvenimento. Mentre Gesù sta insegnando nel tempio, gli scribi e i farisei gli portano una donna sorpresa in adulterio; la pongono nel mezzo e chiedono a Gesù se si deve lapidarla, così come prescrive la Legge di Mosè. L’Evangelista precisa che essi posero il quesito «per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo». Si può supporre che il loro proposito fosse questo – vedete la malvagità di questa gente -: il “no” alla lapidazione sarebbe stato un motivo per accusare Gesù di disobbedienza alla Legge; il “sì”, invece, per denunciarlo all’autorità romana, che aveva riservato a sé le sentenze e non ammetteva il linciaggio popolare. E Gesù risponde: “Chi è senza peccato scagli per primo la pietra”.
Alla fine rimangono solo Gesù e la donna, là in mezzo: «la misera e la misericordia», dice Sant’Agostino. Gesù è l’unico senza colpa, l’unico che potrebbe scagliare la pietra contro di lei, ma non lo fa, perché Dio “non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva”. E Gesù congeda la donna con queste parole stupende: «Va’ e d’ora in poi non peccare più». E così Gesù apre davanti a lei una strada nuova, creata dalla misericordia, una strada che richiede il suo impegno di non peccare più. È un invito che vale per ognuno di noi: Gesù quando ci perdona ci apre sempre una strada nuova per andare avanti. In questo tempo di Quaresima siamo chiamati a riconoscerci peccatori e a chiedere perdono a Dio. E il perdono, a sua volta, mentre ci riconcilia e ci dona la pace, ci fa ricominciare una storia rinnovata. Ogni vera conversione è protesa a un futuro nuovo, ad una vita nuova, una vita bella,. una vita libera dal peccato, una vita generosa. Non abbiamo paura a chiedere perdono a Gesù perché Lui ci apre la porta a questa vita nuova. La Vergine Maria ci aiuti a testimoniare a tutti l’amore misericordioso di Dio che, in Gesù, ci perdona e rende nuova la nostra esistenza, offrendoci sempre nuove possibilità.

Papa Francesco