V Domenica di Pasqua

Scarica il bollettino Insieme del 15 maggio

Il Vangelo di oggi ci conduce nel Cenacolo per farci ascoltare alcune delle parole che Gesù rivolse ai discepoli nel “discorso di addio” prima della sua passione. Dopo aver lavato i piedi ai Dodici, Egli dice loro: «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13,34). Ma in che senso Gesù chiama “nuovo” questo comandamento?
L’antico comandamento dell’amore è diventato nuovo perché è stato completato con questa aggiunta: «come io ho amato voi», «amatevi voi come io vi ho amato». La novità sta tutta nell’amore di Gesù Cristo, quello con cui Lui ha dato la vita per noi. Si tratta dell’amore di Dio, universale, senza condizioni e senza limiti, che trova l’apice sulla croce. In quel momento di estremo abbassamento, in quel momento di abbandono al Padre, il Figlio di Dio ha mostrato e donato al mondo la pienezza dell’amore. Ripensando alla passione e all’agonia di Cristo, i discepoli compresero il significato di quelle sue parole: «Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri».
Gesù ci ha amati per primo, ci ha amati nonostante le nostre fragilità, i nostri limiti e le nostre debolezze umane. È stato Lui a far sì che diventassimo degni del suo amore che non conosce limiti e non finisce mai. Dandoci il comandamento nuovo, Egli ci chiede di amarci tra noi non solo e non tanto con il nostro amore, ma con il suo, che lo Spirito Santo infonde nei nostri cuori se lo invochiamo con fede. In questo modo – e solo così – noi possiamo amarci tra di noi non solo come amiamo noi stessi, ma come Lui ci ha amati, cioè immensamente di più. Dio infatti ci ama molto di più di quanto noi amiamo noi stessi. E così possiamo diffondere dappertutto il seme dell’amore che rinnova i rapporti tra le persone e apre orizzonti di speranza. Gesù sempre apre orizzonti di speranza, il suo amore apre orizzonti di speranza.
Questo amore ci fa diventare uomini nuovi, fratelli e sorelle nel Signore, e fa di noi il nuovo Popolo di Dio, cioè la Chiesa, nella quale tutti sono chiamati ad amare Cristo e in Lui ad amarsi a vicenda.

Papa Francesco.

IV Domenica di Pasqua

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Nel Vangelo di oggi Gesù si presenta come il vero Pastore del popolo di Dio. Egli parla del rapporto che lo lega alle pecore del gregge, cioè ai suoi discepoli, e insiste sul fatto che è un rapporto di conoscenza reciproca. «Le mie pecore – dice – ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute». Leggendo attentamente questa frase, vediamo che l’opera di Gesù si esplica in alcune azioni: Gesù parla, Gesù conosce, Gesù dà la vita eterna, Gesù custodisce.
Il Buon Pastore – Gesù – è attento a ciascuno di noi, ci cerca e ci ama, rivolgendoci la sua parola, conoscendo in profondità i nostri cuori, i nostri desideri e le nostre speranze, come anche i nostri fallimenti e le nostre delusioni. Ci accoglie e ci ama così come siamo, con i nostri pregi e i nostri difetti. Per ciascuno di noi Egli “dà la vita eterna”: ci offre cioè la possibilità di vivere una vita piena, senza fine. Inoltre, ci custodisce e ci guida con amore, aiutandoci ad attraversare i sentieri impervi e le strade talvolta rischiose che si presentano nel cammino della vita.
Ai verbi e ai gesti che descrivono il modo in cui Gesù, il Buon Pastore, si relaziona con noi, fanno riscontro i verbi che riguardano le pecore, cioè noi: «ascoltano la mia voce», «mi seguono». Sono azioni che mostrano in che modo noi dobbiamo corrispondere agli atteggiamenti teneri e premurosi del Signore. Ascoltare e riconoscere la sua voce, infatti, implica intimità con Lui, che si consolida nella preghiera, nell’incontro cuore a cuore con il divino Maestro e Pastore delle nostre anime.
Questa intimità con Gesù, questo essere aperto, parlare con Gesù, rafforza in noi il desiderio di seguirlo, uscendo dal labirinto dei percorsi sbagliati, abbandonando i comportamenti egoistici, per incamminarci sulle strade nuove della fraternità e del dono di noi stessi, ad imitazione di Lui.

Papa Francesco.

III Domenica di Pasqua

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Vorrei soffermarmi brevemente sulla pagina degli Atti degli Apostoli che si legge nella Liturgia di questa Terza Domenica di Pasqua. Questo testo riferisce che la prima predicazione degli Apostoli a Gerusalemme riempì la città della notizia che Gesù era veramente risorto, secondo le Scritture, ed era il Messia annunciato dai Profeti.
Io mi domando: dove trovavano i primi discepoli la forza per questa loro testimonianza? Non solo: da dove venivano loro la gioia e il coraggio dell’annuncio, malgrado gli ostacoli e le violenze? Non dimentichiamo che gli Apostoli erano persone semplici, non erano scribi, dottori della legge, né appartenenti alla classe sacerdotale. Come hanno potuto, con i loro limiti e avversati dalle autorità, riempire Gerusalemme con il loro insegnamento? È chiaro che solo la presenza con loro del Signore Risorto e l’azione dello Spirito Santo possono spiegare questo fatto. Il Signore che era con loro e lo Spirito che li spingeva alla predicazione spiega questo fatto straordinario. La loro fede si basava su un’esperienza così forte e personale di Cristo morto e risorto, che non avevano paura di nulla e di nessuno, e addirittura vedevano le persecuzioni come un motivo di onore, che permetteva loro di seguire le orme di Gesù e di assomigliare a Lui, testimoniando con la vita. Questa storia della prima comunità cristiana ci dice una cosa molto importante, che vale per la Chiesa di tutti i tempi, anche per noi: quando una persona conosce veramente Gesù Cristo e crede in Lui, sperimenta la sua presenza nella vita e la forza della sua Risurrezione, e non può fare a meno di comunicare questa esperienza. E se questa persona incontra incomprensioni o avversità, si comporta come Gesù nella sua Passione: risponde con l’amore e con la forza della verità.

Papa Francesco.

II Domenica di Pasqua della Divina Misericordia

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Il Vangelo di oggi narra che il giorno di Pasqua Gesù appare ai suoi discepoli nel Cenacolo, alla sera, portando tre doni: la pace, la gioia, la missione apostolica. Le prime parole che Egli dice sono: «Pace a voi». Il Risorto reca l’autentica pace, perché mediante il suo sacrificio sulla croce ha realizzato la riconciliazione tra Dio e l’umanità e ha vinto il peccato e la morte. Questa è la pace. I suoi discepoli per primi avevano bisogno di questa pace, perché, dopo la cattura e la condanna a morte del Maestro, erano piombati nello smarrimento e nella paura. Il secondo dono che Gesù risorto porta ai discepoli è la gioia. L’evangelista riferisce che «i discepoli gioirono al vedere il Signore». E c’è anche un versetto, nella versione di Luca, che dice che non potevano credere per la gioia. Anche a noi, quando magari è successo qualcosa di incredibile, di bello, viene da dire: “Non ci posso credere, questo non è vero!”. Così erano i discepoli, non potevano credere per la gioia.
Questa è la gioia che ci porta Gesù. Se tu sei triste, se tu non sei in pace, guarda Gesù crocifisso, guarda Gesù risorto, guarda le sue piaghe e prendi quella gioia. E poi, oltre alla pace e alla gioia, Gesù porta in dono ai discepoli anche la missione. Dice loro: «Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi».

La risurrezione di Gesù è l’inizio di un dinamismo nuovo di amore, capace di trasformare il mondo con la presenza dello Spirito Santo.
In questa seconda domenica di Pasqua, siamo invitati ad accostarci con fede a Cristo, aprendo il nostro cuore alla pace, alla gioia e alla missione.

Papa Francesco.

Pasqua di Risurrezione

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Le donne portano gli aromi alla tomba, ma temono che il tragitto sia inutile, perché una grossa pietra sbarra l’ingresso del sepolcro. Il cammino di quelle donne è anche il nostro cammino; assomiglia al cammino della salvezza, che abbiamo ripercorso stasera. In esso sembra che tutto vada a infrangersi contro una pietra: la bellezza della creazione contro il dramma del peccato; la liberazione dalla schiavitù contro l’infedeltà all’Alleanza; le promesse dei profeti contro la triste indifferenza del popolo. Così pure nella storia della Chiesa e nella storia di ciascuno di noi: sembra che i passi compiuti non giungano mai alla meta. Può così insinuarsi l’idea che la frustrazione della speranza sia la legge oscura della vita. Oggi, però, scopriamo che il nostro cammino non è vano, che non sbatte davanti a una pietra tombale. Una frase scuote le donne e cambia la storia: «Perché cercate tra i morti colui che è vivo?»; perché pensate che sia tutto inutile, che nessuno possa rimuovere le vostre pietre? Perché cedete alla rassegnazione o al fallimento? Pasqua, fratelli e sorelle, è la festa della rimozione delle pietre. Dio rimuove le pietre più dure, contro cui vanno a schiantarsi speranze e aspettative: la morte, il peccato, la paura, la mondanità. La storia umana non finisce davanti a una pietra sepolcrale, perché scopre oggi la «pietra viva»: Gesù risorto. Noi come Chiesa siamo fondati su di Lui e, anche quando ci perdiamo d’animo, quando siamo tentati di giudicare tutto sulla base dei nostri insuccessi, Egli viene a fare nuove le cose, a ribaltare le nostre delusioni. Ciascuno stasera è chiamato a ritrovare nel Vivente colui che rimuove dal cuore le pietre più pesanti.
Chiediamoci anzitutto: qual è la mia pietra da rimuovere, come si chiama questa pietra?

Papa Francesco.

Domenica delle Palme

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«Benedetto colui che viene nel nome del Signore» (cfr Lc 19,38), gridava festante la folla di Gerusalemme accogliendo Gesù. Abbiamo fatto nostro quell’entusiasmo: agitando le palme e i rami di ulivo abbiamo espresso la lode e la gioia, il desiderio di ricevere Gesù che viene a noi. Sì, come è entrato a Gerusalemme, Egli desidera entrare nelle nostre città e nelle nostre vite. Come fece nel Vangelo, cavalcando un asino, viene a noi umilmente, ma viene «nel nome del Signore»: con la potenza del suo amore divino perdona i nostri peccati e ci riconcilia col Padre e con noi stessi.
Gesù è contento della manifestazione popolare di affetto della gente, e quando i farisei lo invitano a far tacere i bambini e gli altri che lo acclamano risponde: «Se questi taceranno, grideranno le pietre». Niente poté fermare l’entusiasmo per l’ingresso di Gesù; niente ci impedisca di trovare in Lui la fonte della nostra gioia, la gioia vera, che rimane e dà la pace; perché solo Gesù ci salva dai lacci del peccato, della morte, della paura e della tristezza.
Può sembrarci tanto distante il modo di agire di Dio, che si è annientato per noi, mentre a noi pare difficile persino dimenticarci un poco di noi.
Egli viene a salvarci; siamo chiamati scegliere la sua via: la via del servizio, del dono, della dimenticanza di sé. Possiamo incamminarci su questa via soffermandoci in questi giorni a guardare il Crocifisso, è la “cattedra di Dio”. Vi invito in questa settimana a guardare spesso questa “cattedra di Dio”, per imparare l’amore umile, che salva e dà la vita, per rinunciare all’egoismo, alla ricerca del potere e della fama. Con la sua umiliazione, Gesù ci invita a camminare sulla sua strada. Rivolgiamo lo sguardo a Lui, chiediamo la grazia di capire almeno qualcosa di questo
mistero del suo annientamento per noi; e così, in silenzio, contempliamo il mistero di questa Settimana.

Papa Francesco.

Quinta domenica di Quaresima

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In questa quinta domenica di Quaresima, la liturgia ci presenta l’episodio della donna adultera (cfr Gv 8,1-11). Vediamo dunque l’avvenimento. Mentre Gesù sta insegnando nel tempio, gli scribi e i farisei gli portano una donna sorpresa in adulterio; la pongono nel mezzo e chiedono a Gesù se si deve lapidarla, così come prescrive la Legge di Mosè. L’Evangelista precisa che essi posero il quesito «per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo». Si può supporre che il loro proposito fosse questo – vedete la malvagità di questa gente -: il “no” alla lapidazione sarebbe stato un motivo per accusare Gesù di disobbedienza alla Legge; il “sì”, invece, per denunciarlo all’autorità romana, che aveva riservato a sé le sentenze e non ammetteva il linciaggio popolare. E Gesù risponde: “Chi è senza peccato scagli per primo la pietra”.
Alla fine rimangono solo Gesù e la donna, là in mezzo: «la misera e la misericordia», dice Sant’Agostino. Gesù è l’unico senza colpa, l’unico che potrebbe scagliare la pietra contro di lei, ma non lo fa, perché Dio “non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva”. E Gesù congeda la donna con queste parole stupende: «Va’ e d’ora in poi non peccare più». E così Gesù apre davanti a lei una strada nuova, creata dalla misericordia, una strada che richiede il suo impegno di non peccare più. È un invito che vale per ognuno di noi: Gesù quando ci perdona ci apre sempre una strada nuova per andare avanti. In questo tempo di Quaresima siamo chiamati a riconoscerci peccatori e a chiedere perdono a Dio. E il perdono, a sua volta, mentre ci riconcilia e ci dona la pace, ci fa ricominciare una storia rinnovata. Ogni vera conversione è protesa a un futuro nuovo, ad una vita nuova, una vita bella,. una vita libera dal peccato, una vita generosa. Non abbiamo paura a chiedere perdono a Gesù perché Lui ci apre la porta a questa vita nuova. La Vergine Maria ci aiuti a testimoniare a tutti l’amore misericordioso di Dio che, in Gesù, ci perdona e rende nuova la nostra esistenza, offrendoci sempre nuove possibilità.

Papa Francesco

Quarta domenica di Quaresima

Scarica il bollettino Insieme del 27 marzo

Nel capitolo quindicesimo del Vangelo di Luca troviamo la grande parabola del figlio prodigo, o meglio, del padre misericordioso. Il racconto ci fa cogliere alcuni tratti di questo padre: è un uomo sempre pronto a perdonare e che spera contro ogni speranza. Colpisce anzitutto la sua tolleranza dinanzi alla decisione del figlio più giovane di andarsene di casa: avrebbe potuto opporsi, sapendolo ancora immaturo, un giovane ragazzo, o cercare qualche avvocato per non dargli l’eredità, essendo ancora vivo. Invece gli permette di partire, pur prevedendo i possibili rischi. Così agisce Dio con noi: ci lascia liberi, anche di sbagliare, perché creandoci ci ha fatto il grande dono della libertà.
Sta a noi farne un buon uso. Ma il distacco da quel figlio è solo fisico; il padre lo porta sempre nel cuore; attende fiducioso il suo ritorno; scruta la strada nella speranza di vederlo. E un giorno lo vede comparire in lontananza. Ma questo significa che questo padre, ogni giorno, saliva sul terrazzo a guardare se il figlio tornava! Allora si commuove nel vederlo, gli corre incontro, lo abbraccia, lo bacia. Quanta tenerezza! E questo figlio le aveva fatte grosse! Ma il padre lo accoglie così.
Lo stesso atteggiamento il padre riserva anche al figlio maggiore, che è sempre rimasto a casa, e ora è indignato e protesta perché non capisce e non condivide tutta quella bontà verso il fratello che aveva sbagliato.

Il padre esce incontro anche a questo figlio […] anche quando uno si sente giusto – “Io ho fatto sempre le cose bene…” –, ugualmente il Padre viene a cercarci, perché quell’atteggiamento di sentirsi giusto è un atteggiamento cattivo: è la superbia! Viene dal diavolo. Il Padre aspetta quelli che si riconoscono peccatori e va a cercare quelli che si sentono giusti. Questo è il nostro Padre!
In questa parabola si può intravedere anche un terzo figlio. Un terzo figlio? E dove? È nascosto! È quello che «non ritenne un privilegio l’essere come [il Padre], ma svuotò sé stesso, assumendo una condizione di servo». Questo Figlio-Servo è Gesù! È l’estensione delle braccia e del cuore del Padre: Lui ha accolto il prodigo e ha lavato i suoi piedi sporchi; Lui ha preparato il banchetto per la festa del perdono. Lui, Gesù, ci insegna ad essere “misericordiosi come il Padre”.

Papa Francesco

Terza domenica di Quaresima

Scarica il bollettino Insieme del 20 marzo

Il Vangelo di questa terza domenica di Quaresima ci parla della misericordia di Dio e della nostra conversione. Il padrone raffigura Dio Padre e il vignaiolo è immagine di Gesù, mentre il fico è simbolo dell’umanità indifferente e arida. Gesù intercede presso il Padre in favore dell’umanità – e lo fa sempre – e lo prega di attendere e di concederle ancora del tempo, perché in essa possano germogliare i frutti dell’amore e della giustizia. Il fico che il padrone della parabola vuole estirpare rappresenta una esistenza sterile, incapace di donare, incapace di fare il bene. È simbolo di colui che vive per sé stesso, sazio e tranquillo, adagiato nelle proprie comodità, incapace di volgere lo sguardo e il cuore a quanti sono accanto a lui e si trovano in condizione di sofferenza, di povertà, di disagio. A questo atteggiamento di egoismo e di sterilità spirituale, si contrappone il grande amore del vignaiolo nei confronti del fico: fa aspettare il padrone, ha pazienza, sa aspettare, gli dedica il suo tempo e il suo lavoro. Promette al padrone di prendersi particolare cura di quell’albero infelice.
E questa similitudine del vignaiolo manifesta la misericordia di Dio, che lascia a noi un tempo per la conversione. Tutti noi abbiamo bisogno di convertirci, di fare un passo avanti, e la pazienza di Dio, la misericordia, ci accompagna in questo.
Nonostante la sterilità, che a volte segna la nostra esistenza, Dio ha pazienza e ci offre la possibilità di cambiare e di fare progressi sulla strada del bene. Ma la dilazione implorata e concessa in attesa che l’albero finalmente fruttifichi, indica anche l’urgenza della conversione. Il vignaiolo dice al padrone: «Lascialo ancora quest’anno». La possibilità della conversione non è illimitata; perciò è necessario coglierla subito; altrimenti essa sarebbe perduta per sempre. Noi possiamo pensare in questa Quaresima: cosa devo fare io per avvicinarmi di più al Signore, per convertirmi, per “tagliare” quelle cose che non vanno? “No, no, io aspetterò la prossima Quaresima”. Ma sarai vivo la prossima Quaresima? Pensiamo oggi, ognuno di noi: cosa devo fare davanti a questa misericordia di Dio che mi aspetta e che sempre perdona? Cosa devo fare? Noi possiamo fare grande affidamento sulla misericordia di Dio, ma senza abusarne. Non dobbiamo giustificare la pigrizia spirituale, ma accrescere il nostro impegno a corrispondere prontamente a questa misericordia con sincerità di cuore.

Papa Francesco

Seconda domenica di Quaresima

Scarica il bollettino Insieme del 12 marzo

Il Vangelo di oggi, seconda domenica di Quaresima, ci invita a contemplare la trasfigurazione di Gesù. Questo episodio va
collegato a quanto era accaduto sei giorni prima, quando Gesù aveva svelato ai suoi discepoli che a Gerusalemme avrebbe dovuto «soffrire molto ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere». Questo annuncio aveva messo in crisi Pietro e tutto il gruppo dei discepoli, che respingevano l’idea che Gesù venisse rifiutato dai capi del popolo e poi ucciso. Loro infatti attendevano un Messia potente, forte, dominatore, invece Gesù si presenta come umile, come mite, servo di Dio, servo degli uomini, che dovrà donare la sua vita in sacrificio, passando attraverso la via della persecuzione, della sofferenza e della morte.
Gesù prende con sé i tre discepoli Pietro, Giacomo e Giovanni e li conduce su un alto monte; e là, per un momento, mostra loro la sua gloria, gloria di Figlio di Dio. Questo evento della trasfigurazione permette così ai discepoli di affrontare la passione di Gesù in modo positivo, senza essere travolti. Lo hanno visto come sarà dopo la passione, glorioso. E così Gesù li prepara alla prova. La trasfigurazione aiuta i discepoli, e anche noi, a capire che la passione di Cristo è un mistero di sofferenza, ma è soprattutto un dono di amore, di amore infinito da parte di
Gesù. L’evento di Gesù che si trasfigura sul monte ci fa comprendere meglio anche la sua risurrezione.
Per capire il mistero della croce è necessario sapere in anticipo che Colui che soffre e che è glorificato non è solamente un uomo, ma è il Figlio di Dio, che con il suo amore fedele fino alla morte ci ha salvati. Il Padre rinnova così la sua dichiarazione messianica sul Figlio, già fatta sulle rive del Giordano dopo il battesimo, ed esorta: «Ascoltatelo!». I discepoli sono chiamati a seguire il Maestro con fiducia, con speranza, nonostante la sua morte; la divinità di Gesù deve manifestarsi proprio sulla croce, proprio nel suo morire «in quel modo», tanto che l’evangelista Marco porrà sulla bocca del centurione la professione di fede: «Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!».

Papa Francesco